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Fuori dall’euro?

È giugno e in Europa c’è il ciclone. Il ciclone sarebbe l’effetto dei referendum che in Francia e in Olanda hanno bocciato le ratifiche della costituzione europea.

Mentre si cerca il “barbatrucco” per far entrare dalla finestra una ratifica che i cittadini hanno gettato dalla porta, il dibattito si scalda. Il problema non sembra tanto la costituzione quanto questo modello di Europa burocratica, dirigista, delle lobby piuttosto che dei popoli, ansiosa di nascondere le radici all’insegna di un multiculturalismo fin troppo sbilanciato.

Maroni parla timidamente della possibilità di tornare alla lira. Stracciamento di vesti. Eppure anche Hans Eichel, il ministro delle finanze tedesco, ha presenziato a un meeting sul fallimento della moneta unica e il 56% dei tedeschi tornerebbe al granitico marco. Come la pensano gli italiani?

Più che dare la colpa all’euro forse sarebbe stato il caso di monitorare seriamente l’andamento dei prezzi. Però credo che sia davvero illiberale scandalizzarsi se si pensa ad abbandonare l’euro. Ieri ho letto addirittura una dichiarazione di un membro dell’establishment europeo che con arroganza faceva notare che l’euro è «per sempre» e che gli stati non hanno il potere di tornare indietro.

Io una riflessione la faccio: la strategia di Lisbona del 2000 mira a rendere l’Europa «l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale». Non mi sembra che ciò stia accadendo. Uno dei pilastri della strategia di Lisbona è la politica macroeconomica. L’euro ne è il fulcro.

La strategia di Lisbona non dà frutti? Va messa in discussione. L’euro costituisce forse addirittura il fulcro di questa strategia? Può essere messo in discussione. Cuore in pace.