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Comprendere la realtà mediando tra narrazioni faziose e sperando

«Se dici una menzogna enorme e continui a ripeterla prima o poi il popolo ci crederà» (J. Goebbels).

Siamo abituati a pensare alla propaganda come a qualcosa d’altri tempi ma l’intento di influire sull’opinione pubblica, o su ciò che ne rimane in una sfera pubblica in cui la politica è in crisi e la democrazia non è necessariamente più considerata la migliore tra le peggiori forme di governo, è attuale e se ne ravvisano chiari segnali.

Sia per il Coronavirus che per altri eventi epocali narrazioni contrapposte si sono scontrate. Tra una polarizzazione (certamente agevolata dalle dinamiche dei social media e degli algoritmi) e un peggioramento della qualità dell’istruzione e della capacità di comprendere la complessità e di esprimersi correttamente (analfabetismo funzionale) si sono insinuati storytelling che venivano poi smentiti dai fatti dopo pochi mesi, quando già molti si erano dimenticati di ciò che si diceva qualche tempo prima.

Non sono racconti disinteressati: dietro si muovono poteri economici e geopolitici e si può immaginare anche una certa ragion di Stato e un posizionamento strategico. Il giornalismo è uno dei grandi assenti soprattutto in Italia, dove il fact checking è spesso inquinato dall’ideologia di appartenenza.

Rimane all’osservatore che vuole comprendere una bizzarra operazione: provare a mediare tra versioni dei fatto esageratamente faziose, sperando che il punto di caduta si posizioni vicino a quella che forse è la verità, sperando che non si tratti dell’ennesima post-verità.