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“American boy”, i “detective”, i neet, le scarpe e i Lady Antebellum

Come si esordisce per fare i simpatici quando si parla con uno che è andato in America? Chiamandolo American boy, come la canzone! Eppure quando lo fanno in dieci, venti, trenta, cento un po’ ti rompe le palle. Come potrei punire il prossimo che lo farà? Accettansi consigli sadici…

A Palermo nessuno si fa quelli propri, è notorio, ma francamente rimango perplesso nell’apprendere che tanti tra quelli che conosco si improvvisano detective e chiedono cose tipo: «Ma Tony Siino si è trasferito?»; «Ma Tony Siino è stato assunto da facebook?», «Ma Tony Siino che cosa fa a New York?», «Tutto ‘sto tempo? Sicuro c’ha una, vero?». No, non ve lo dico che cosa faccio qui. Almeno per ora. ;) Provate a indovinare…

Ho sentito una parola che mi è piaciuta: neet. È un acronimo per Not in Employment, Education or Training (non lavora, non studia, non si aggiorna). Pare che definisca una nuova popolazione di nullafacenti. Purtroppo qui si usa spesso per certi italiani. Quanti neet conoscete?

Le newyorchesi sono carine ma…che scarpe hanno?!?! Vanno di moda prevalentemente certi calzari da antico romano o le infradito per cui da tempo combatto una campagna per il bando (non parliamo delle infradito per u-omo poi!). Varianti: ballerine e stivali da pompiere. Rare le ragazze con scarpe degne di tale nome (tipo quelle che mettono le italiane in patria). Se le hanno in genere sono bellissime ed eleganti.

Qui a New York alla radio passano sempre Need you now dei Lady Antebellum. Anche lì?

Alla prossima!

(crosspostato su Rosalio)

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La festa a Brooklyn, semafori pedonali e mance

Sabato sono andato con Carmine, un ragazzo italiano che è qui, e Olivia, la sua ragazza, a una festa assurda dalle parti di Bushwich (Brooklyn). Sul divieto di alcol ai minori di 21 anni sono rigidissimi, sulle norme di sicurezza (uscite, solidità delle scale antincendio) e igieniche (bar) un po’ meno… La festa era in capannone industriale in una zona da paura. A Williamsburg e dintorni una serie di spazi un tempo industriali sono sempre più fucine creative con designer, artisti, creativi. Il capannone della festa di cui vi parlo è sede di 3RDWARD, un centro di design per creativi appunto. Era anche una festa di beneficenza. Hanno ideato dei rifugi di fortuna per Haiti in acciaio, i Domes for Haiti. Durante la festa hanno raccolto 23 mila dollari per Haiti. Bravi.

Festa da 3RDWARD

Ma parliamo di semafori pedonali a New York. A Palermo si passa anche col rosso ma a New York…pure! La gente ha fretta e non è tassativo non attraversare quando è rosso. I guidatori (le auto sono di meno in proporzione, la subway funziona benissimo) sono mentalmente pronti a trovarsi un pedone sull’attraversamento e guardano comunque. Ok, una differenza c’è: non si discute se un auto trova un pedone dove non dovrebbe essere o viceversa. Si perderebbe troppo tempo.

Una cosa che fa impazzire gli italiani è la storia delle tip, le mance. Sono praticamente obbligatorie. In genere vanno dal 15% al 20% del conto e gli italiani sono noti per non lasciarne…infatti spesso nei locali frequentati dai turisti viene aggiunta a matita. I camerieri sono pagati poco (o nulla) e le mance sono fondamentali in questa economia. Inoltre i prezzi a volte non riportano le tasse. Ce n’è abbastanza per fare impazzire un connazionale.

Alla prossima.

Le foto sono qui.

AGGIORNAMENTO: le foto di 3RDWARD.

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L’Upper East Side, “How are you?” e gli italiani di New York

Buongiorno Upper East Side! Mi verrebbe da dire «Sono Gossip Girl, la vostra sola e unica fonte di notizie sulle vite scandalose dell’élite di Manhattan», citando appunto la misteriosa blogger della serie tv culto ambientata nel quartiere dove vivo ormai da una settimana (se torno vestito come i protagonisti uccidetemi). Ma finora non ho niente di scandaloso da raccontare. Questa parte di New York ha ospitato i set di moltissimi film (dallo storico Colazione da Tiffany ai più recenti Manhattan, L’avvocato del diavolo, Autumn in New York e Il diavolo veste Prada) e serie tv (impressionante: I Jefferson, Arnold, La tata, Sex and the City, Will & Grace…) e mi appare molto familiare. Questo è il mio studio:

Studio dell'Upper East Side

Studio dell'Upper East Side

Per quanto riguarda il gossip sul palazzo, invece, ci sono alcune figure che ho notato. Il portiere calvo e truce (che non conoscendomi l’altro giorno mi ha rivolto dolci parole: «Come here!!! Who are you?!»), il (manager?) festaiolo del quinto piano che ha il terrazzo e che organizza le feste facendo caciara, la vicina pigra che mi ha dovuto raccontare che è pigra e guarda tutto il giorno la tv e la vicina un po’ bona dagli occhi blu dell’apartment 8F che fa sport e che non mi parla in ascensore.

Qui tutti ti dicono «How are you?» e tu cerchi di rispondere anche variando. Poi però capisci che non si aspettano davvero una risposta: è un modo di rapportarsi con il prossimo.

In 18 giorni negli Stati Uniti ho avvistato numero due cacche di cane. Una in un’aiuola a Berkeley, l’altra (non entro nei dettagli) non era raccoglibile. I cani ci sono, non hanno il didietro tappato: i padroni sono esseri civili.

Sono uscito con italiani e con italoamericani. Ebbene sì, sono due comunità diverse e spesso non comunicanti tra di loro. Gli italiani a New York sono quelli che ci lavorano, spesso giovani, quasi sempre laureati e arrivati da poco, anche di passaggio. Gli italoamericani sono i cittadini statunitensi di origine italiana. Parlano persino un americano diverso, sia nella pronuncia che nelle parole. E qui c’è una curiosità divertente e che non conoscevo. Gli italoamericani non storpiano soltanto le parole inglesi, c’è anche un'”andata e ritorno” con termini inglesi italianizzati e quindi errati in entrambe le lingue! Qualche esempio? Assuranza (da insurance/assicurazione), carru (da car/automobile), slaiza di pizza (slice of pizza/pezzo di pizza). Altri qui.

Presto parleremo di mance e di semafori pedonali. Alla prossima.

(crosspostato su Rosalio)

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A New York

Ho sorvolato nuovamente coast to coast gli Stati Uniti, stavolta di notte, partendo lunedì per arrivare martedì. Al banco Delta a San Francisco mi hanno fottuto alla grande perché la signorina mi ha chiesto se volessi un posto vicino alle uscite d’emergenza e io ho risposto sì rimarcando il fatto che così le mie gambe (sono alto quasi un metro e 90) avrebbero avuto più spazio. Risultato: 44F, ultima fila. Ecco perché mi aveva guardato sorniona. Ricordarsi di rispondere «only if bulkhead» la prossima volta.

Guardare le luci dell’America di notte dall’alto mi fa riflettere ancora una volta. Mi impressiona vedere alcune cittadine con file di luci ordinate che si ripetono per isolati interi. Avevano tutto lo spazio che volevano e invece di espandersi come gli pareva hanno pianificato. Io, da palermitano, potrei impazzirne.

Per atterrare al JFK stavolta abbiamo sorvolato Manhattan e ho visto chiaramente i grattacieli, i ponti, “Lady Liberty” (la Statua della Libertà) ed Ellis Island, dove milioni di emigranti italiani approdarono fino al 1954. Tra questi c’era anche mio nonno, mio omonimo. Chissà che cosa gli passava per la testa guardando Ellis Island quel 4 settembre del 1921 dal ponte della Providence. Non poteva certamente immaginare che suo nipote avrebbe visto New York dal cielo per la prima volta.

Arrivi a Ellis Island - Antonino Siino (riga 27)

Ripenso agli italiani, chiamati dispregiativamente Wop per molti anni (non si sa se da “guap'”, guappo, in napoletano o da WithOut Paper/Passport, clandestino) eppure così importanti nella costruzione dell’America. Oggi qui ci amano: l’Italia è il buon cibo, l’alta moda, la Toscana. Mah.

Ho affittato uno studio molto molto molto carino nell’Upper East Side, tra la 3rd avenue e la 73rd street, al settimo piano. Questa sarà la base per il mese a New York. Andando a fare la spesa da Citarella, una specie di gioielleria del cibo, in questo quartiere upper class sento spesso parlare in italiano e in Madison avenue ci sono molti negozi di stilisti.

Nei giorni scorsi ho girato una parte delle principali attrazioni turistiche (sempre piene di italiani), dall’Empire State Building, al ponte di Brooklyn, da Wall Street a Times Square, al Rockefeller Center. E Ground Zero.

Ground Zero

Ground Zero

A Ground Zero mi sono arrabbiato, non sono riuscito a immaginare le Twin Towers, dov’era la nuvola vista in tv, che cosa sarà rimasto delle torri, degli aerei, di quel trauma. Poco prima avevo visto la cappella di Saint Paul, dove molti degli eroi delle squadre di soccorso, spesso morti dopo per le esalazioni cancerogene, si rifugiarono a pregare e a riposare. C’è una tuta da pompiere, le brande, le foto, le preghiere e le lettere dei bambini delle scuole. Ground Zero fa male, si sta male, è la città ferita, l’America ferita (e ripenso a una poesia di Whitman sul cielo americano/cielo senza bombe), l’umanità ferita da un’altra umanità che non meriterebbe di essere definita così. Mi fa stare male così l’A29 allo svincolo per Capaci, e via D’Amelio.

Chiudo il post stemperando. Gli americani non hanno il piano terra e gli italiani danno di matto. Negli ascensori il 1st floor è il piano terra. Al massimo ci si trova la L che sta per lobby. Se vedete qualcuno che indica i tasti e strabuzza gli occhi spesso è italiano. :D

Wall Street

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AGGIORNAMENTO: le foto sono qui.

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San Francisco, il Golden Gate, Sausalito e Tiburon: ciao California

Domenica sono stato ancora a San Francisco. Nella teoria socio-economica questa città, che ha pochi abitanti in più rispetto a Palermo, fa parte delle cosiddette global city, cioè città che contano nel sistema economico mondiale (la chiamano anche il gateway del Pacifico). In particolare è una beta city + (come Washington, Melbourne, Johannesburg, Atlanta, Barcelona, Manila, Bogotá, Tel Aviv, New Delhi, Dubai e Bucharest) e dovrebbe molto della sua posizione al capitale umano. Eppure ovunque, sia nel commercio che nell’imprenditoria, si leggono nomi italiani. La Bank of America, fondata a San Francisco, si chiamava prima Bank of Italy e il fondatore Amadeo Giannini era figlio di immigrati liguri. Senza gli italiani, insomma, né San Francisco né l’America sarebbero quelle che sono. Invece per gli italiani la Sicilia e l’Italia sono quelle che sono.

Il Golden Gate è certamente una delle meraviglie del mondo. Due chilometri e settantuno per collegare San Francisco alla County of Marin, un colore che col tramonto viene valorizzato e una fierezza che nemmeno la nebbia che sale nel pomeriggio dal Pacifico (che ho potuto osservare lunedì) può intaccare. Molti ci passeggiano sopra a piedi o in bici. Vale davvero la pena di vederlo.

Golden Gate

Dall’altra parte ci sono Sausalito e Tiburon, due belle località marine. Non me ne voglia la California, ma di Taormina ce n’è una…anche se si sta bene qui e a Tiburon ci sono belle signorine. ;)

Tiburon

Ho anche fatto una capatina a Pittsburg che è gemellata con Isola delle Femmine e, curiosità, ha una riproduzione della piazza di Isola che certo è anomala a diecimila chilometri.

Pittsburg

A Pittsburg c’è una folta comunità di italiani che ce l’hanno fatta e un Siino è stato sindaco (o siindaco).

La California rimane certamente nel cuore, così come Berkeley che è una vera capitale culturale per questo paese. Spero di rivederle mentre scrivo questo post già da New York, di cui parlerò da domani.

Le foto sono qui.

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“FanimeCon” e alcune cose che si dicono sugli Stati Uniti

Sabato sono stato a San Jose, trascinato da alcuni adolescenti californiani, alla FanimeCon, convention di anime e cosplay. Anche a Palermo il fenomeno esiste, ne abbiamo parlato. Che io sappia in Italia non ci sono convention così grandi (dura tre giorni, con un’area espositiva enorme e con una serie di proiezioni e ospiti lunghissima). Sembra fondamentalmente un fenomeno per adolescenti, anche se tra gli otaku ci si trova di tutto.

“FanimeCon”

I problemi nascono quando, da buone americane mangione, ti ci ritrovi queste ragazze sovrappeso che si mettono l’uniforme da scolaretta giapponese…

“FanimeCon” “FanimeCon”

A poco più di una settimana sul suolo statunitense provo a parlare di un po’ di cose che si dicono sugli Stati Uniti (e se sono vere).

In America ci sono bandiere ovunque.
Vero. Aeroporti, case, automobili e qualunque altra cosa può avere attaccate sopra le stars & stripes.

C’è maggiore rispetto per il codice della strada.
Vero. Al 90%. Continuano a guardarmi strano quando li ringrazio per fermarsi e lasciarmi passare sulle strisce anche se sono ancora sul marciapiede e loro a 20 metri di distanza (ricordarsi di non ringraziare per una cosa che dovrebbe essere normale, Palermo a parte). Per il restante 10% però si rischia la vita e sto parlando delle corsie: da noi è pressoché tassativo in autostrada sorpassare a sinistra, qua si infilano da tutte le parti e non è così univoca la corrispondenza tra corsie e velocità.

Gli americani non sanno fare il caffè.
Falso. Se non precisate espresso invece di regular ti danno l’acqua ‘i purpu. Però l’espresso è buono. E anche se siamo cresciuti col mito degli Starbucks pare che quello migliore tra le catene lo facciano da Peet’s.

Ti viene il jet lag e per tre giorni ti senti strano e ti svegli la notte.
Anche falso. A me non è capitato per niente.

Le porzioni di cibo sono più grandi.
Vero. Super size me!

Gli americani sono grassi.
Parzialmente vero. Alcuni sì ma ho anche visto delle signorine molto ben proporzionate. :)

Le auto sono più grandi di quelle europee.
Vero. Non è inusuale vedere vecchietti e leggiadre signorine che portano ‘sti autobus. D’altronde siamo a 3,2 $ a gallone.

Le strade sono larghe.
Vero. Minimo due corsie per senso di marcia e quando sono senza uscita alla fine c’è uno spazio circolare per la manovra, quasi sempre.

Le case hanno il giardino dietro.
Vero. Il tipo di case che ci sono qui in California quasi sempre ce l’hanno.

In California c’è sempre caldo.
Falso. Ho beccato giorni con dieci gradi e ho messo il giubbotto.

La prossima volta si parla del Golden Gate e di Sausalito.

Le foto sono qui.

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Su e giù per la Silicon Valley

Giovedì ho attraversato la Silicon Valley verso sud per finire a passeggio a Santa Cruz. Credo che sia chiaro che io nella Silicon Valley, dove si concentrano i quartier generali delle più importanti società di Information and Communication Technology, ero come un bambino in un negozio di caramelle. :)

Ho avuto l’opportunità di pranzare nella sede di facebook a Palo Alto con Cameron Marlow che dirige il Data Science team. È stata una chiacchierata molto interessante di cui parlerò su questo blog. Alla mensa di facebook fanno bene la pasta e la pizza…e anche il riso pilaf. Immancabili i frigo e i dispenser per le bevande e i dolciumi. Abbiamo fatto un tour e gli uffici sono degli open space, senza i cubicle che caratterizzano molte società tecnologiche. Mi ha divertito la nomenclatura delle sale riunioni che ha almeno tre tipologie: gruppi musicali (per esempio Depeche Mode), inventori cruciali per le comunicazioni (tra cui hanno anche messo Al Gore…immagino ironicamente e con riferimento a una famosa intervista in cui si attribuì sostanzialmente l’invenzione di Internet…) e incroci tra nomi di videogiochi e condimenti (quest’ultima è l’area degli ingegneri…). L’ambiente è giovane, c’è gente che viene da ovunque, con prevalente formazione tecnica. L’atmosfera è comunque abbastanza spartana. Se siete curiosi le foto sono qui e c’è anche un video.

Tony Siino da facebook

Ho fatto una capatina anche a Stanford, da Google a Mountain View e da Apple a Cupertino. Google occupa praticamente una strada e Apple ha un campus che sembra l’università.

Tony Siino da Google

Apple

Apple

Lavorare qui deve essere molto stimolante. Alla prossima.

Le foto sono qui.

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San Francisco e il fuoco, Walnut Creek e The Container Store

Una delle cose che ti colpisce nella San Francisco Bay è la presenza un po’ ovunque di pompieri. Un europeo pensa che questi sono fissati col fuoco. Poi si capisce che hanno le loro ragioni, dato che dopo il terremotone del 1906 scoppiò un incendio estremamente distruttivo che rase praticamente al suolo la città: pare che quasi 300 mila su 400 mila abitanti persero l’alloggio. Eppure molte case ancora oggi sono in legno.

Pompieri a San Francisco
(foto di Kris Taeleman)

Ieri ho fatto un giro nella parte un po’ più interna della Bay Area, a Walnut Creek. Basta guidare per poco più di 20 chilometri e sei nell’entroterra, tra villette ordinate e tranquille, empori e foreste. Un tunnel permette di attraversare le colline che portano a Walnut Creek, sia in auto che con il BART (il trenino rapido di questa zona): si chiama Caldecott Tunnel (fonetica: ˈkɔːl.d.kɒt). I feroci San Franciscans lo hanno ribattezzato “Culture stop” (fonetica: ˈkʌl.tʃər stɒp) per indicare che passato il tunnel sarebbero ‘gnuranti. :D E meno male che sono politically correct!

Walnut Creek

A Walnut Creek mi ha colpito The Container Store, negozio verticalissimo che vende contenitori: buste, scatole, scatolette, vaschette, valigie a perdita d’occhio.

The Container Store

Domani vi racconto della Silicon Valley (sono andato a pranzo da facebook).

Le foto sono qui.

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Tant*

A volte mi chiedo
quante sono le cose che non ho avuto
soltanto perché non le ho chieste,
quanti sapori non ho sentito
soltanto perché non ho aperto la bocca,
quanti posti non ho visitato
soltanto perché non mi sono spostato,
quanta vita mi sono perso
soltanto perché mi sono imposto
con l’indolenza di stare al mio posto
di non viverla.

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Il parente-di-parente, Obama a San Francisco e “capisc’?”

Ieri sono tornato a San Francisco con l’ormai noto (a chi ha letto i post precedenti) parente-di-parente-che-a-me-non-viene-niente. Praticamente questo tipo (prego solo che non legga questo blog) è un cugino di un cugino di un cugino di un cugino…vabbe’, ci siamo capiti. Avevamo cenato insieme domenica e a tavola voleva fare il simpaticone. Faccio un esempio della simpatia estrema: mi si è aperto lo shampoo in valigia e questo fa il battutone «ma non era mica necessario che te lo portavi, qui in America abbiamo lo shampoo!»… Un altro esempio: siccome gli ho raccontato che sono combattuto tra il rimanere in Sicilia come mi dice il cuore e andare in un posto più in linea con i miei interessi lavorativi mi ha detto «you need therapy»… Prima di uscirci lo consideravo alla stregua di una ragade. Poi sono stato investito dalla perplessità estrema quando mi ha proposto la sua visione della città attraverso il “turismo alberghiero”! Sostanzialmente mi ha portato a vedere degli alberghi (ma non soltanto)! Poi però uno vede un albergo così e quasi gli dà ragione…

Hyatt Regency San Francisco

Alla fine, comunque, non era tanto male: mi ha detto un sacco di cose interessanti. Ricordarsi di sospendere il giudizio.

Il primo pomeriggio è trascorso al San Francisco Museum Of Modern Art.

San Francisco Museum Of Modern Art

C’era Obama in città per raccogliere fondi con la senatrice Barbara Boxer. Il presidente non sembra troppo popolare e ho sentito dire di lui peste e corna finora. E San Francisco è una città decisamente democratica.

Barack Obama a San Francisco
(Associated Press photo by Ron Lewis)

Una delle cose a cui è difficile abituarsi è la cena alle 18:30. Però se passate da Berkeley vi potrà aiutare la trattoria La Siciliana della famiglia D’Alò. :)

Ho scoperto che una parola italiana è ampiamente conosciuta e utilizzata negli Stati Uniti: capisc’? Pare che, però, la utilizzasse il mafioso John Gotti detto “l’elegantone”…

Domani si parla dell’entroterra.

Le foto sono qui.

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Scoiattoli, “two strikes”, previsioni meteo e docenti in California

A Berkeley uno degli animaletti più comuni è lo scoiattolo marrone (Sciurus niger). Infestatore di giardinetti sul retro, molestatore di passanti per il cibo persino nel campus, amante delle scoiattole tanto da creare (e crearsi) problemi di sovrappopolazione e emigrante anch’esso come i tanti siciliani di California: in origine era nella parte est degli Stati Uniti e in Canada…ora è anche qui.

Sciurus niger

Sto incontrando anche alcuni siciliani qui, di seconda e terza generazione. In particolare ho avuto a che fare con avvocati che si occupano di proprietà intellettuale (legata all’Information and Communication Technology). Uno di loro, nipote di abitanti di Isola delle Femmine approdati a Pittsburg e ora consulente per una potente famiglia americana, mi ha parlato con orgoglio e lucidità degli italiani approdati negli Stati Uniti che ce l’hanno fatta malgrado il fatto che fossero sul “two strikes” quando sono arrivati. Il termine è preso in prestito dal baseball: al terzo strike (“punto” del lanciatore) il giocatore in battuta viene eliminato. I due strike che pagavano gli emigranti italiani erano la povertà e il non conoscere l’inglese. Molti siciliani sono oggi in ruoli chiave

Lunedì mattina ho visto le previsioni meteo e mi ha colpito molto l’interazione tra conduttore, camere live e infografica. Appena trovo il video ve lo mostro.

Sono stato a pranzo anche con il professor Merges che insegna Legge e tecnologia a Berkeley. È stato molto piacevole e ho purtroppo dovuto fare i soliti confronti. I docenti delle università italiane non sono quasi mai disponibili e parlano con gli studenti come se fosse un favore, chiudendosi agli stimoli e negando quello che dovrebbe essere uno dei loro compiti principali. Non è la prima volta che interagisco con docenti di università americane (una volta ho chiesto un paper per il mio dottorato e mi sono arrivate molte informazioni in più del desiderato…) e hanno un atteggiamento molto diverso. Mi viene in mente la questione della headship contrapposta alla leadership…se sei un docente italiano spesso brandisci con autorità il tuo ruolo come se fosse una clava, i docenti americani si guadagnano sul campo il rispetto e l’autorevolezza.

Del perfido (o forse no) parente-di-parente-che-a-me-non-viene-niente ne parliamo la prossima volta…

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Fisherman’s Wharf e San Francisco

Ho dimenticato di parlare di una cosa relativa alle turbolenze in volo. Le volte che mi sono capitati voli “bumpy” in Italia ho sentito gridolini/urla/lamentele e ho visto gente attaccata al sedile. Gli americani si comportano diversamente: durante la turbolenza dormono, mangiano e, se proprio devono manifestare qualcosa…si divertono! ‘Sti due disgraziati mentre cominciavo a pensare di fare testamento facevano gridolini tipo ottovolante e ridevano. Ricordarsi di fare finta di niente anche se stai dentro allo shaker (oltre al classico “non applaudire all’atterraggio”).

Dormo nella stanza di un teenager americano tipico. Ha la batteria, un poster dei Led Zeppelin, dipinge, ha dei libri, un Mac, ama i videogiochi e ha una passione per le magic card. Pare che qui tirino gli zainetti JenSport e di Eastpak che riempiono le nostre classi finora neanche l’ombra.

Dicono che le californiane siano belle ragazze. Il problema è trovarle, visto che finora ho visto soltanto asiatiche!

Ci sono dei cartelloni pubblicitari animati fighissimi…praticamente i 6×3 nostri in versione wide ma con la pubblicità che cambia…hanno un display a contrasto elevato.

Domenica sono stato a Fisherman’s Wharf, la zona del porticciolo dei pescatori dove si mangiano frutti di mare. Mi ha ricordato molto Mondello (e ciò che Mondello potrebbe essere). In generale i colori della San Francisco Bay, un certo essere socievoli e il clima (anche se di pomeriggio entra il vento dal Pacifico e si gela) accomunano la California alla Sicilia. I chioschetti hanno quasi tutti nomi italiani anche se pare che gli asiatici stiano subentrando nelle gestioni.

Fisherman's Wharf

San Francisco è una città molto bella e colorata. Le strade sono a volte strette come quelle europee. È facile essere scontato quando si parla di un posto come questo riportando frasi già dette ma, credetemi, i saliscendi di questa città costruita tra le colline che digradano verso il mare sono inimmaginabili finché non si vedono. Lombart Street, la famosa discesona con i tornantini e i fiori, è divertente.

Lombard Street

Little Italy, nella zona di North Beach, è molto carina, con localini tipici, pasticcerie, ristoranti e una grande chiesa. I pali della luce sono decorati con il tricolore.

Little Italy

E poi tocca ai grattacieli con la Transamerica Pyramid, il più alto edificio di San Francisco (260 metri) nonché uno dei suoi simboli. Il più alto edificio della Sicilia, il grattacielo Ina, è alto 65 metri. Vicino c’era un graffito di Banksy; c’è scritto: «If at first you don’t succeed – call an airstrike».

Transamerica Pyramid

Nel prossimo post parleremo anche del perfido parente-di-parente-che-a-me-non-viene-niente.

Le foto sono qui.

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In America

Da venerdì sono negli Stati Uniti. Per una decina di giorni sarò a Berkeley, poi a New York per circa un mese. :)

Ho attraversato l’Oceano Atlantico sotto a una copertina verde e tra le turbolenze sono arrivato a San Francisco di sera, inseguendo il sole a ovest in una lunghissima giornata. Se non siete ancora stati in America sappiate che il percorso per arrivarci NON è dritto seguendo il parallelo ma segue l’ortodromia (percorso più breve tra due punti) con delle variazioni legate ai venti del giorno. Io ho seguito la rotta di nord-ovest: praticamente si esce dalla Normandia e si rientra sul Canada per andare giù fino a New York. Sono a più di diecimila chilometri da casa e ho fatto 16 ore e mezza di volo ma non credo di aver ancora compreso bene dove mi trovo. Per una serie di combinazioni fortuite (che non penso di poter replicare) niente jet lag.

6872 Km

Con ancora negli occhi la visione di Manhattan avvolta nella nebbia al JFK mi accoglie un’enome bandiera americana (sono ovunque!) per cui quasi mi commuovo e un immigration officer che mi fa qualche domanda e mi fa notare che mi sto avvicinando troppo con un cenno: ricordarsi di stare più lontano dalla gente che in Italia e che lo spazio prossemico varia con la cultura… Esco per cambiare terminal e noto con sorpresa che C’È il muro di parenti e di “prelevatori” come a Punta Raisi! Ma non avevamo detto che era un “teatrino” locale? :D C’è l’Airbus A380 di Singapore Airlines al gate…sbavo.

Sono in un altro mondo in cui subito si nota l’organizzazione e lo stile diverso. Appena saliti sul 757 Delta (aereo che – mi ha detto un pilota – fa vagamente pensare a una bella donna magra con grandi tette…e in effetti…) il pilota fa un annuncio molto amichevole e spaccone e parte il video sulle dotazioni di sicurezza che è molto diverso da quelli delle compagnie europee: non annoia, non terrorizza, l’hostess è figa. :D

Anche durante le turbolenze il comandante è scherzoso e in arrivo a San Francisco, dopo un po’ di virate sulla baia ventosa (ed ecco un’altra similitudine con Punta Raisi in atterraggio) e aver visto il Golden Gate (wow!), ci dice che alla nostra sinistra c’è un altro aereo in atterraggio e precisa che non stiamo andando ad atterrare sulla stessa pista. :D

Un guidatore di taxi di origine asiatica mi istruisce sul fatto che la Cina sia migliore degli Stati Uniti perché…si può bere a tutte le ore (!) e mi raccomanda una discoteca a San Francisco dove fanno buona musica trance…

Tra le prime cose che noto c’è un certo buonumore e una predisposizione assoluta al problem solving e ho la sensazione che tutto venga pensato per funzionare…ma guarda che hanno combinato quei reietti scappati dall’Europa per andare in colonie in un posto lontano!

Sabato sono andato all’Università di Berkeley che ha un bellissimo campus e una torre campanaria che si chiama Sather Tower ma che tutti chiamano Campanile. Sì, in italiano.

Sather Tower - Campanile

Non ho ancora capito perché ma è pieno di Mini!

Prossima tappa Fisherman’s Wharf.

AGGIORNAMENTO: le foto sono qui.

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