L'e-mail che minaccia di svelare che guarderei il porno? Fa ridere
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L’e-mail che minaccia di svelare che guarderei il porno? Fa ridere

Stanotte ho ricevuto questa e-mail:

******** one of your passphrase. Lets get directly to point. Nobody has paid me to check you. You don’t know me and you are most likely thinking why you’re getting this email?

Well, I installed a software on the 18+ videos (porno) site and guess what, you visited this site to have fun (you know what I mean). When you were viewing videos, your web browser started functioning as a RDP that has a keylogger which gave me access to your screen and also web camera. after that, my software program collected your entire contacts from your Messenger, social networks, as well as email . Next I made a double video. First part displays the video you were viewing (you’ve got a good taste lol . . .), and second part displays the recording of your web camera, yea its you. Continua a leggere »

Report per le pagine facebook (e non soltanto) più d'impatto con Google Data Studio
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Report per le pagine facebook (e non soltanto) più d’impatto con Google Data Studio

Cercavo da un po’ di tempo uno strumento per rendere graficamente più accattivanti i report sugli Insights della pagine facebook per i clienti. L’altro giorno mi sono imbattuto in uno strumento e in una soluzione interessanti.

Google ha uno strumento di data visualization che si chiama Data Studio (ancora in beta) che permette di mostrare report con bei grafici partendo da diverse basi di dati, tra cui anche Google Analytics, applicando template prestabiliti e con aggiornamento dinamico al variare dei dati. Continua a leggere »

Le Stories sorpasseranno il feed, la tv sta vincendo?
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Le Stories sorpasseranno il feed, la tv sta vincendo?

Chris Cox di facebook ha dichiarata a F8 che:

«le Stories sono in procinto di sorpassare, già il prossimo anno, i feed come modalità primaria di convidivisione di qualcosa con i propri amici».

Mi ha colpito molto.

Era palese che gli Snap/Stories avevano grande potenzialità (non a caso facebook, che finora non ne ha sbagliate molte sulla previsione degli scenari futuri, aveva prima offerto 3 miliardi di dollari a Snapchat e poi clonato ovunque sulle sue app il format) e il video è molto amato sul web sia come fruizione (YouTube è una delle prime piattaforme in Italia; le serie in streaming stanno diventando uno dei format identificativi per millennials e non solo) sia come produzione (girare è più immediato di scrivere, con corretta ortografia e grammatica e cercando di dire qualcosa di interessante e l’immagine ha sempre avuto un impatto maggiore della scrittura). Continua a leggere »

Come cambiare carattere di scrittura sui social
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Come cambiare carattere di scrittura sui social

Vi sarà capitato di vedere che nelle biografie di Instagram o su facebook alcuni post non hanno il font standard delle piattaforme ma qualcosa di diverso.

Qui un esempio dalla pagina facebook di Rai 5.

Stasera alle 21.15, in 𝗣𝗿𝗶𝗺𝗮 𝗩𝗶𝘀𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗔𝘀𝘀𝗼𝗹𝘂𝘁𝗮 𝗥𝗮𝗶, il monumentale documentario 𝗜𝗹 𝗦𝗮𝗹𝗲 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗧𝗲𝗿𝗿𝗮.

Il film traccia l'…

Posted by Rai5 on Sunday, April 22, 2018

Non è difficile, basta usare un convertitore Unicode. Continua a leggere »

cuscino RSS
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Un “custom social feed” è la syndication che mancava ai blog?

In questi giorni in cui facebook scricchiola e da più parti si dice che ci sono tante ragioni per aprire un blog o tornare a scriverci bisogna pensare a perché i blog sono stati talvolta usati meno o persino abbandonati in questi ultimi anni. Il motivo principale è che la syndication verso l’audience era debole, non era intuitivo maneggiare i feed RSS e i social semplificano la distribuzione del contenuto.

Se fosse disponibile un’altra forma di syndication dei contenuti esistenti sul web potrebbe essere vincente. Come potrebbe essere? Continua a leggere »

popular all over the blogs
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Rubare ai social per dare alla blogosfera (Deeario riprende)

Non scrivo sul serio su questo blog dal 2012. Fino al 2015 ho scritto qualcosa sporadicamente, poi nulla. Non ho mai smesso di bloggare, ho continuato su Rosalio per le vicende palermitane. Il motivo principale è che sono stato assorbito dal lavoro ma anche dai social media, che sono cresciuti a dismisura, dalla loro semplicità di aggiornamento e di distribuzione di contenuti.

Ai miei 45 lettori superstiti (incredibile! 😃) via feed e a quelli che si uniranno e che non mi seguono sui social voglio dire che fine ho fatto. Continua a leggere »

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“Allahu Akbar”, la curiosa canzone nei trend mondiali di Spotify

C’è un fenomeno abbastanza curioso emerso dopo la strage di Parigi: sulla nota applicazione di streaming audio Spotify, nella classifica che riporta i pezzi che stanno crescendo maggiormente negli ascolti al numero sette si trova Allahu Akbar di tale Dj Inappropriate. Il pezzo è comune musica elettronica con un solo campione che ripete «Allahu Akbar». Ovviamente riporta con la mente alla frase urlata dai fondamentalisti islamici di tutto il mondo ma pare che nulla abbia a che fare con questi.

Dj Inappropriate - "Allahu Akbar"

Ho provato a investigare un po’ su Dj Inappropriate e ho trovato l’account SoundCloud e la pagina facebook.

Da SoundCloud si evince che il pezzo è stato caricato sette mesi fa, ha anche una versione trapped e una strumentale che si chiama T-Error. Ci sono diversi altri pezzi elettronici che nulla hanno a che vedere con l’islam.

Su facebook si evince che si tratta di un gruppo di tre, che dicono di essere “bradipi” e di creare «sick tunes», canzoni “malate”. Una frase dell’about è in norvegese.

Ho cercato di capire qualcosa della viralità di Allahu Akbar scrivendo via facebook e mi hanno risposto, ma non hanno voluto rispondere alle domande che ho posto appena ho spiegato che avrei scritto qualcosa mettendo in relazione il trend su Spotify e i fatti di Parigi.

Apparentemente si tratta di una coincidenza, quindi. Qualcuno ne sa di più?

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Le ragazze si dicono forti

Ragazza forte

Le ragazze si dicono forti. Si raccontano di non essere facili e se soffrono è perché non si accontentano di uomini che “una come me non la sanno gestire”.

Woman with balls

Per la storia di cui si sono convinte autocompiacendosi questi maschi sarebbero deboli, senza palle, dubbiosi su ciò che veramente vogliono e incapaci di corteggiarle, prendere decisioni (ad esempio tra la moglie e l’amante, che è una donna forte in genere), amarle, comportarsi da uomini insomma.

Quindi un individuo geneticamente progettato per uscire dalla caverna e cacciare i dinosauri con la clava sarebbe impaurito da una femminuccia… Sonore minchiate.

Uomo fragile

Amiche mie, se un uomo vuole davvero una donna la trascina per i capelli. Mai credere che un uomo si spaventi! La spiegazione è un’altra.

Paura di amarmi

Quello che vi propina dubbi e insicurezze in fondo è sicuro di una cosa: non vi vuole davvero e alimenta la vostra illusione di essere forti manipolandovi sottilmente, inconsapevolmente surfando sull’incomunicabilità tra i sessi post-femminista o senza neanche pensarci troppo.

Eppure queste ragazze tutte forti (a proposito, al posto di “forti” gli uomini dicono “arraggiate”), “io emancipata”, “l’utero è mio” (oggi declinato come “la do a chi mi pare strabiliandomi del fatto che il giorno dopo non mi si ricontatti su WhatsApp”), poi piangono lacrime amare. O risolvono con la storia dell’uomo non uomo dei tempi moderni.

Si sentono indomite eppure ciascuna indomita sogna chi la domi.

So many dreams about you and me

Faccia da monito la storia di Didone nell’Eneide. Regina bellissima e astuta, capace di dire no a chi voleva sposarla quando rimase vedova e di partire per fondare Cartagine, si innamora di quel fesso di Enea (che se la tira un po’ precorrendo l’atteggiamento dell’uomo contemporaneo apallico) per cui si uccide.

Didone ed Enea

L’uomo che vi starà accanto abbia lo spazio per esserlo. Lasciate che possa proteggervi e rimanete un passo indietro, obbligandolo a essere responsabile della vostra felicità. Forti non lo siete come pensate, come loro non sono deboli. La parità non è un conflitto ma una collaborazione.

La parità non è un conflitto ma una collaborazione

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Io “parlo male” di chi se lo merita

Pecora/lupo

Secondo una retorica del successo che si è recentemente diffusa, specialmente nel mondo delle startup, ci sono degli argomenti che non si dovrebbero trattare, delle forme che non si dovrebbero usare, delle parole che non si dovrebbero dire.

È quella retorica della comunità e della condivisione, dello spalleggiamento e del buonismo. Andiamo, sapete di che cosa sto parlando.

Criticare è considerato un segnale di invidia, meglio un complimento (che costa meno, anzi è gratis), invece di dire no sarebbe meglio dire «sì, e…», la parola “io” andrebbe evitata, meglio “noi”. E altre simili “comandamenti” del politically correct.

Ne comprendo lo spirito ma non sempre sono d’accordo.

Come si fa a costruire comunità sane se i soggetti che si rendono responsabili di comportamenti socialmente riprovevoli (ad esempio condotte professionalmente e/o umanamente scorrette) non vengono indicati a chi non li conosce per come agiscono in onore al divieto di critica? Il gregge non deve essere rifugio di qualche lupo e condividere le informazioni (anche in vista di sanzioni sociali) è un valore più alto del “bon-ton” in un gruppo.

Come si ha l’opportunità di valutare e correggere i propri errori senza una schietta peer review fatta anche di quei “no” che fanno crescere? Le critiche possono essere costruttive.

La necessità di fare gruppo non soffoca a volte individualità brillanti sacrificandone i guizzi all’interesse di non lasciare indietro nessuno e di livellare? L’individualismo non è sempre egoismo.

Non abbiate paura quindi di criticare apertamente, di dire no sinceramente, di dire “io” umilmente.

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Quel bot che fa più engagement della content curation umana

Bot

Quante volte avete letto che il contenuto è il re della foresta del web e che la cura dei contenuti, la content curation, è molto importante perché costruisce valore, rafforza il marchio, attira traffico? Beh, ogni regola ha una sua eccezione ed è di uno strano caso che vi parlerò oggi.

Rosalio, il multiblog di Palermo che gestisco, sta per compiere otto anni e con una certa immodestia posso dire che si tratta di un piccolo caso da manuale (non certo per meriti soltanto miei, gli autori hanno contribuito moltissimo): il blog è considerato una delle principali esperienze local in Italia, è stato citato su giornali e trasmissioni radiofoniche e televisive anche nazionali e ha interagito con la politica, l’economia e la cultura cittadine, persino facendo aggregare i cittadini che poi hanno dato vita a un parco urbano in un terreno inutilizzato, il Parco Uditore. Nell’ambito di questa esperienza, precedente al boom dei social media in Rete, mi sono trovato a dovere fare i conti con l’arrivo del microblogging e di tutto il resto. Quando twitter ha cominciato a svilupparsi mi sono chiesto come poteva utilizzarlo il blog. E qui è arrivata la soluzione (e poi l’anomalia che vi vorrei raccontare).

Nel 2009 abbiamo creato un profilo twitter denominato Palermer. L’idea era di andare oltre alla pubblicazione dei link ai post del blog e di inserire contenuti che riguardassero la città di Palermo, retweet di altri utenti, link a siti e blog che se ne occupassero e coperture live di momenti significativi, ad esempio i terremoti (ogni tanto capitano). Uno di questi contenuti, da noi inizialmente tenuto in scarsissima considerazione, è un aggiornamento meteo. Abbiamo realizzato un bot quindi che prende i dati da Yahoo! Weather e li mette online quattro volte al giorno (mattina presto, tarda mattinata, primo pomeriggio, sera).

Il “problema” è che questo contenuto è uno di quelli che creano maggiore engagement!

Gli utenti retwittano il meteo, a volte commentandolo, e sono pronti a evidenziare ogni piccola differenza climatica tra il loro quartiere e il dato twittato (che viene raccolto nei pressi dell’ex aeroporto di Boccadifalco, ma il territorio è grande e capita che piova in una zona e che il tweet parli di un temporale quando altrove il sole fa capolino). In qualche caso citano il tweet e aggiungono una foto. Spesso lo mettono tra i tweet preferiti.

Insomma, i contenuti selezionati accuratamente dagli esseri umani per essere postati spesso perdono miseramente nel confronto con il bot dal cuore di silicio, amato dagli utenti che gli tributano un quotidiano “sacrificio” di tonnellate di engagement. Non è un po’ frustrante? :)

Non è certo il primo né l’ultimo caso di bot “famosi”, ad esempio qualche mese fa si diffuse una vera e propria febbre per Horse ebooks, un enigmatico profilo che twittava frasi in un certo qual senso poetiche e link a un negozio di libri elettronici sui cavalli. Dopo aver superato i duecentomila follower e avere ispirato una graphic novel si è venuto a sapere che dietro c’era Jacob Bakkila, un ventinovenne che si fingeva bot “per l’arte”.

Nel caso di Palermer invece la vera “star” è proprio un bot, giuro.

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Gotye – “Somebodies”, il mashup di “Somebody that I used to know”

C’hanno detto che la nostra civiltà si sarebbe massificata e al contrario tribalizzata. Non è accaduta né l’una né l’altra cosa. È molto più semplice, con Internet, accedere a materiali introvabili e di nicchia eppure ci sono momenti in cui gli esseri umani vogliono essere accomunati da un’emozione. È accaduto di recente con Somebody that I used to know di Gotye feat. Kimbra.

Il video su YouTube è stato visto ad oggi, a un anno dalla pubblicazione, quasi 300 milioni di volte e molti lo hanno ripreso e coverizzato. Gotye ha messo insieme in un mega mashup molti di quei video. Il risultato, Somebodies è superbo. :)

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